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Scena XXII - Notte. Via dinanzi la porta di Ghita.
Valentino soldato, fratello di Ghita, solo.
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VALENTINO: Un tempo, quand'io mi trovava a far gozzoviglia, fra gli schiamazzatori e i millantatori, e chi metteva in cielo questa e chi quella fanciulla, inaffiando a prova di gran bicchieri le lodi, io mi stava zitto ad udirli, e coi gomiti posati in sulla mensa lasciava sfogare quelle loro spampanate. Indi lisciatami, sorridendo, la barba, e dato di mano a un colmo bicchiere io dicevo: Bello è quel che piace! Ma avvi in tutta la contrada una fanciulla che possa paragonarsi alla mia Ghituccia? che sia sol degna di allacciare le scarpe a mia sorella? E allora udivi un subito tintinnire di tazze, e grida di allegrezze. Egli ha ragione: viva la Ghituccia; il fiore delle belle, lo specchio delle fanciulle! E le tazze e i viva andavano in volta, e quei primi spacciatori di lodi ammutolivano. Ed ora! — ahi, è tal dolore da stracciarsene i capelli, da dare del capo nelle muraglie! Ora, ogni mascalzone potrà farmi onta coi motteggi, e arricciare malignamente il naso; ed io dovrò infingermene, e star cheto come un fallito dinanzi il creditore; io dovrò sudare per una leggiera parola pur detta a caso; e ancorché io sfracellassi a tutti costoro il capo di mia mano, io non potrei dire a nessuno: Tu te ne menti. Chi viene per di là? chi quatto quatto rade il muro a questa volta? S'io non m'immagino sono in due. Oh, se è desso, io lo concio pel dì delle feste; egli non mi scapperà vivo dalle mani. (Entrano Faust e Mefistofele.)