Capitolo IV - Il colloquio. 

Roger Chillingworth ed Ester Prynne. 

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ROGER: Ester, io non ti chiederò perché, né come tu sia caduta così in basso o, direi meglio, perché tu sia salita sul palco dell’infamia, sul quale io ti ho ritrovata. Troppo facile è scoprirne le ragioni. Due sono: la mia pazzia e la tua debolezza. La mia pazzia anzitutto: che cosa potevo avere di comune con la tua gioventù e la tua bellezza io, uomo di studio e di pensiero, tignola vissuta sempre tra i libri delle biblioteche, io già avanzato negli anni, i più belli dei quali avevo spesi a perseguire ideali di scienza? Come potevo io, nato deforme, illudermi che le virtù dell’intelletto bastassero a nascondere codeste deformità agli occhi di una donna giovane e bella come te? Gli uomini dicono che io sia un sapiente: se i sapienti sapessero usare a loro profitto la scienza che posseggono, io avrei dovuto prevedere quello che è accaduto... Avrei dovuto sapere che il primo spettacolo offerto ai miei occhi, appena uscito dalla foresta ed affacciatomi alla vita degli uomini civili, saresti stata tu, Ester Prynne, dritta come una statua sul palco della vergogna davanti a tutto il popolo... Che dico? Dal momento stesso in cui, già coniugi, uscimmo dalla chiesa, avrei dovuto scorgere in fondo alla nostra strada il rosseggiare di questo marchio di infamia... [...] È vero, non l’ho forse riconosciuto, accusandomi di follia? Ma avevo vissuto invano fino a quel momento della mia vita... Il mondo non aveva avuto un solo sorriso per me... Il mio cuore, pur così vasto, era come una grande casa abbandonata senza il suo focolare acceso, senza echi di voci care. Anelavo d’avere un focolare anch’io. Né mi sembrava un così folle sogno di strappare anch’io, se pure vecchio e triste e deforme, una favilla a quella gran fiammata d’amore che è accesa per tutto il genere umano... Fu così, Ester, che io ti volli per me e mi illusi di riscaldarmi al fuoco del tuo amore... [...] Siamo stati colpevoli entrambi e la prima colpa fu mia, quando volli accoppiare il mio declinare alla tua giovinezza fiorente. Per questo io non penso alla vendetta, né desidero in alcun modo il tuo male. Non invano ho riflettuto così a lungo, non invano mi sono dissetato della saggezza dei filosofi... Tra me e te siamo alla pari e nulla possiamo pretendere l’uno dall’altro. Ma c’è un uomo, Ester, colpevole ugualmente verso di te e verso di me. Chi è quest'uomo? [...] Ester, ci sono poche cose nel mondo esteriore, e anche in quello dell'anima, che possano restare nascoste ad un uomo inteso con ogni energia e volontà a scoprire il mistero! Potrai, sì, conservare il segreto con la folla e con i giudici e i preti, che oggi han tentato di strappartelo in ogni modo per darti un compagno sul palco; ma è ben difficile conservarlo con me che dispongo di ben altre armi e sono spinto alla ricerca da ben altri motivi... Io cercherò quell’uomo, come ho cercato la verità nei libri e nell’alchimia il segreto dell’oro. C'è, fra me e lui, una misteriosa simpatia che servirà a rivelarmi quell’uomo. Lo sentirò improvvisamente tremare, e tremerò io stesso il giorno in cui ci troveremo di fronte. Quell’uomo non può più sfuggirmi: è fatale che egli diventi la mia preda... [...] Non è sul suo abito come sul tuo la lettera infamante; ma io gliela leggerò nel cuore. Ma non temere per lui: non credere che io voglia sostituirmi alla giustizia del cielo o consegnarlo, a mio scorno, alla giustizia degli uomini... Né devi temere per la sua vita e neppure per il suo onore, se, come credo, egli è uomo d’alto lignaggio o di gran fama... Che egli viva! Viva e si nasconda sotto un’apparenza intemerata! Non per questo egli mi sfuggirà.