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Scena XXIII - Tempo triste.
Faust e Mefistotele.
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FAUST: Nella miseria! Disperata! Lungamente tapina sovra la terra, ed ora prigioniera! Quella soave anima, gettata come un malfattore in un carcere, è riservata a tormenti spaventevoli! fin là! fin là! — Perfido, indegnissimo spirito, e tu mi hai tenuto nascosto ogni cosa! — Sta, sta qui ora! Torci minaccioso in qua e in là que' tuoi occhi diabolici! Statti, e insultami della tua insoffribile presenza! Prigioniera! In rovina irreparabile! Data in preda ai mali spiriti, e alla spietata giustizia degli uomini! E tu intanto mi allettavi a schifosi dissipamenti, mi celavi le sue crescenti miserie, e la lasciavi priva di ogni soccorso perire. [...] Cane! belva abbominevole! Oh, mutalo, infinita sapienza, muta quell'abbiettissimo nella sua prima! forma di cane; tornalo qual egli era, quando si dilettò di saltarmi innanzi la notte; di voltolarsi a' piedi del pacifico viandante, per gittarsegli di poi sulle spalle, allorché lo avesse stramazzato. Travolgilo nella prediletta sua forma, talché si strascini sul ventre dinanzi a me nella polvere, ed io lo pesti coi piedi, il reprobo! Non è la prima! Oh, miseria! miseria! Nessun'anima umana potrà mai concepire come più di una creatura sia cotesta in tanta profondità di mali, — come la prima, contorcendosi negli spasimi della morte, non bastasse a riscattare tutte le altre dinanzi all'infinita misericordia. A me l'affanno di quest'unica strazia profondamente il cuore, e tu sogghigni placidissimo sul destino delle migliaja.