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Atto II, Scena I
Macbeth solo.
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MACBETH: È egli un pugnale quel che mi veggo dinanzi, coll’elsa rivolta verso la mia mano....? Ch’io t’afferri, se il sei; vieni.. Ma tu mi sfuggi; e nondimeno sempre innanzi mi ti mostri. Fatale immagine, perchè non sei tu sensibile al tatto, come alla vista? o saresti invece solo una larva della mente, un’immagine falsa creata dalla inorridita fantasia....? Ah! ma io ti veggo, e sotto forma sì nera, quanto quella che riveste questo ferro che mi sta al fianco. Tu mi precedi nella via ch’era mia mente intraprendere, ed arma mi appresti simile a quella di cui intendeva valermi. — I miei soli occhi son delusi da un errore che gli altri miei sensi non dividono; e se veggono il vero, rispondono per sè soli ad ogni altro senso... Sì, presente, presente ognor tu mi sei, e sull’aguzza tua lama io discerno una riga di sangue... Ma nulla realmente esiste... ed è solo il delitto, ch’io medito, che mi atterrisce e m’inganna....! Ora per la metà del mondo la natura par morta, e sogni funesti turbano il riposo degli uomini. Ora innanzi alla pallida Ecate celebransi i misteri delle Streghe; e l’ora è questa, in cui l’assassino livido si sveglia ai ruggiti del lupo, sua scolta, e tacito come spettro s’avvia fra le tenebre a consumare il delitto. — O terra, solida ed immota, sii sorda a’ passi miei; non lasciar orme sulla via che imprendo; non gemere dalle tue più riposte viscere, per disvelare al mondo il delitto, a compiere il quale mi porgi sì propizio istante....! Ma, mentre io minaccio, egli vive..., e fra inutili parole spendo l’ora consacrata all’azione (s’ode lo squillo della campana). (Macbeth rabbrividendo) Si corra; è deciso: questo suono m’invita. Oh Duncano! non udirlo questo squillo ferale, che funebre t’appella nel regno degli estinti. (esce)