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Atto V, Scena II
Una stanza da letto. Desdemona in letto, addormentata. Arde una lampada. Otelo e Desdemona.
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OTELLO: Ma la cagione, la cagione, anima mia... non vogliate ch’io la dica innanzi a voi, a voi, castissime stelle!... Vadasi... e nullameno non verserò il sangue di lei, non coprirò di piaghe quel seno più bianco della neve, e scorrevole al tatto come l’alabastro delle tombe... (depone la spada) Ma pur deve morire; chè, vivendo, altri uomini tradirebbe... Estinguiam quella face; e con essa si spenga in lei il lume della vita... Se io ti estinguo, o debile fiamma che mi rischiari, potrò raccenderti, ove le tenebre m’increscano... ma una volta che tu sii estinta, tu, meravigliosa opera della benefica natura, di dove potrò io trarre la celeste scintilla che ti rianimi?... Quando t’avrò divelta dal tuo stelo, o amabile rosa, io non potrò più renderti lo spirito vitale che ti faceva sì fiorente... dovrai appassire... Ah! ch’io m’inebbrii anche una volta di te!... (baciandola) Oh alito balsamico, che persuaderesti quasi alla Giustizia di frangere la sua spada!... Un bacio ancora, un bacio... e tale ti serba, quale ora sei, dopo morte; ed io t’ucciderò, e ti amerò poscia eternamente... Un altro... sia l’ultimo... tanta dolcezza non fu mai sì fatale... M’è forza piangere... ma sono lagrime crudeli... è lo sdegno celeste che piomba su chi più ama. — Ella si sveglia...