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Atto II, Scena II
Romeo e Giulietta.
Giulietta si mostra al verone.
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ROMEO: Che veggo? Qual luce scende da quel verone? Ah! l’Oriente è quello, e Giulietta n’è il Sole! Sorgi, bel Sole, sorgi, ed eclissa quest’invida Luna, che mal patisce che tu, vergine del suo culto, splenda più chiara di lei. Spoglia le bende tue, dacchè le sei fatta incresciosa, e muta la bianca tunica della Verginità nel roseo mantello dell’Amore. Ah! sì, Giulietta, sei tu... sei tu, cuor mio. Oh dirti almeno potessi tutto che io sento per te! E’ sembrami vederla parlare, e niun suono ascolto della sua voce... Ma i suoi occhi favellano eloquenti, ed io loro risponderò. — Troppo fui temerario! a me non parlava. I due astri più belli del firmamento, chiamati ad illuminare altri mondi, pregarono gli occhi di lei ad assumere il posto loro. Ma se anche quegli occhi brillassero nell’etere celeste, lo splendore delle sue guancie oscurerebbe tutte le altre stelle, come il raggio del sole rende pallidi i lumi del nostro emisfero. Oh! sì, se quelle luci fossero nel cielo, gli uccelli ingannati dal chiarore che se ne diparte, canterebbero per tutta la notte, credendo salutare l’Aurora. — Ecco, essa declina il suo volto su quella mano di rose... Oh foss’io il guanto che quella mano ricuopre, onde essere al contatto di quella tenera guancia!